Il benessere degli animali sta fortunatamente diventando un tema centrale anche per quanto riguarda il settore alimentare. I media e l’opinione pubblica si sono concentrati da qualche anno anche sui prodotti ittici ed in particolare sull’astice e l’aragosta. Mi ero già interessata all’argomento dedicando ad esso il Dossier ed il manuale del numero 24 del periodico Eurofishmarket, affrontando, con la collaborazione di diversi esperti specializzati in materia, il tema attraverso differenti punti di vista, giuridico e scientifico, in modo da giungere ad un’informazione più completa possibile.

Questo breve articolo è più mirato ad evidenziare lo stato dell’arte, in materia di “benessere” delle specie acquatiche destinate alle nostre tavole, dal punto giuridico in Italia.

Negli ultimi anni infatti i veterinari addetti al controllo ufficiale sono stati coinvolti con una certa frequenza nella valutazione dello stato di detenzione dei crostacei vivi in sede di commercializzazione e somministrazione. Gli aspetti segnalati con maggior frequenza riguardano la presenza di astici con le chele legate e la conservazione dei crostacei vivi direttamente a contatto con il ghiaccio.

In particolare i punti critici della materia riguardano: dal punto di vista scientifico la capacità di questi animali di provare dolore e quali possano essere le modalità di lavorazione che comportino meno “sofferenze” per l’animale; mentre dal punto di vista giuridico è innanzitutto controverso se la detenzione degli astici vivi sul ghiaccio integri o meno uno dei reati in materia di maltrattamento degli animali (Artt. 544 ter e 727 c.p.), ed in secondo luogo è necessario vedere come i vari regolamenti comunali o regionali disciplinano la tutela del benessere animale.

Partendo dal punto di vista scientifico, in estrema sintesi, esistono lavori sulla possibile capacità di questi invertebrati di provare dolore anche se contrastanti e non su tutte le specie ittiche oggi di interesse commerciale. La valutazione dello stato di “stress” e di “sofferenza” dei crostacei attraverso l’esame di parametri biochimici e clinici utilizzata in campo sperimentale non è chiaramente praticabile attualmente nell’attività ispettiva sul campo. Occorre pertanto oggi procedere ad una valutazione per via indiretta che prenda in considerazione aspetti strutturali e gestionali (caratteristiche degli acquari in termini di dimensioni, presenza di arricchimenti ambientali quali luci, monitoraggio dei parametri chimici dell’acqua, evidenze dei controlli, ecc.).

Ci sono poi altri aspetti in attesa di chiarimento, come quello riguardante la legatura delle chele degli astici: questa pratica, resa necessaria nella loro gestione per evitare danni agli operatori e agli altri esemplari, sarebbe idonea a configurare un maltrattamento? E’ invece più condivisa l’opinione per cui sia da evitare la conservazione degli animali vivi a diretto contatto con il ghiaccio. Un aspetto che necessita di approfondimento è rappresentato anche dalle modalità di soppressione dei crostacei per le quali sono suggeriti diversi metodi, non tutti applicabili nella pratica, e che comunque necessitano di personale appositamente formato.

Per l’approfondimento di questo primo punto inerente la concreta possibilità di percepire dolore da parte degli organismi acquatici di interesse alimentare rimando all’articolo “Essere o Ben…Essere” e al dossier sul numero 34  del periodico Eurofishmarket.

Dal punto di vista giuridico, focus di questo articolo, la definizione e conseguente gestione del “benessere” delle specie in esame  è alquanto controversa.

Ad es. il 18 gennaio 2017 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un ristoratore di Campi Bisenzio (Firenze), confermando la sentenza di condanna di primo grado emessa nell’aprile 2014 dal Tribunale di Firenze per “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, in ordine al reato di cui al secondo comma dell’art. 727 c.p. In particolare l’imputato deteneva aragoste e granchi vivi su ghiaccio in frigorifero ad una temperatura tra 1,1 e 4,8 gradi centigradi con le chele legate, e per questo è stato sanzionato con ammenda di 5.000 euro.

In senso totalmente opposto il Tribunale di Torino con sentenza del 15 luglio 2015 assolve un imputato, un pescivendolo che manteneva delle aragoste su ghiaccio, in ragione della “particolare tenuità del fatto” discostandosi da una serie di precedenti sentenze di opposto orientamento.

C’è da osservare che molte iniziative in tale direzione vengono avviate prendendo spunto normativo a livello locale, poiché diversi Comuni e Regioni hanno adottato regolamenti a tutela degli animali e in particolare stabilito specifiche modalità di detenzione e vendita dei crostacei. Poiché la maggior parte di tali provvedimenti vieta la vendita al consumatore finale di animali vivi ad eccezione dei molluschi bivalvi, pertanto gli stessi andrebbero macellati prima della consegna al cliente (non è però chiaro quale sia il metodo di macellazione che arrechi meno sofferenze all’animale: da alcune ricerche sembra che proprio la refrigerazione e conseguente assopimento provocherebbe una morte meno cruenta[1]). Non è invece generalmente vietata la detenzione di esemplari vivi, che dovrebbe avvenire in acquari che rispettino determinate caratteristiche tecniche (e non consistere in sostentamento attraverso la nutrizione) e senza che le chele siano legate. Quest’ultimo punto risulta però difficile da rispettare per gli operatori del settore, in quanto se gli esemplari vengono lasciati con le chele libere possono risultare pericolosi sia tra di loro che nei confronti dell’operatore.

Il risultato finale è che comunque normative deboli come sono appunto i regolamenti comunali vanno di fatto, nel sentire comune, a creare obblighi e/o divieti che fatalmente confliggono con normative di rango superiore determinando disorientamenti operativi e conflitti immotivati tra operatori del settore alimentare (OSA), organi di controllo e vigilanza (con spesso  esautorazione di fatto dell’autorità competente) e prevalere degli interessi particolari di alcuni stakeholders su quelli generali che devono essere l’obiettivo finale di qualunque decisione normativa e comunque adeguatamente supportata quando prevede sanzioni o implicazioni di natura penale.

Ad oggi la maggior parte dei regolamenti comunali o regionali che disciplinano la tutela del benessere animale vieta la vendita, ma non la detenzione, di esemplari vivi: la detenzione dovrebbe avvenire in acquari con determinate caratteristiche (e non consistere in sostentamento attraverso la nutrizione), mentre la vendita dovrebbe avvenire previa uccisione anche se non è chiarito quale sia il metodo di macellazione da utilizzare.

Ad esempio il Regolamento sul benessere del Comune di Milano, dedica un capitolo alla “Gestione crostacei vivi destinati all’alimentazione umana”, specificando le specie incluse nel campo di applicazione della disciplina (ossia aragoste, astici, granciporri, granseole), e precisando che “gli animali all’interno dei contenitori isotermici possono avere le chele legate”, mentre quelli “all’interno degli acquari devono avere le chele legate”. Infine tale provvedimento si dedica più estesamente rispetto ai precedenti anche all’argomento della macellazione disponendo che “i crostacei di cui al comma 2 devono essere uccisi mediante shock elettrico, con apparecchiature opportunamente validate allo scopo. In subordine, è possibile uccidere gli animali mediante distruzione meccanica del ganglio cerebrale, eseguita sul soggetto anestetizzato mediante raffreddamento. Per quanto riguarda gli animali tenuti in contenitori isotermici, è possibile anche utilizzare un rapido raffreddamento in aria (abbattitore termico a una temperatura di 4°C o inferiore) (European Food Safety Authority, 2005).”

In senso opposto il nuovo Regolamento sul benessere del Comune di Parma che dispone: “È fatta raccomandazione in tutto il territorio comunale di non esporre o conservare crostacei vivi sul ghiaccio e/o costretti da lacci o elastici. Si fa esplicito invito, inoltre, a non cucinarli ancora in vita.”

Da un lato quest’ultima disposizione è innovativa, poiché è il primo regolamento italiano a vietarne l’uccisione in pentola, questo sulla scia di un provvedimento svizzero già in essere. D’altro canto la prima parte del provvedimento, che vieta la costrizione dei crostacei tramite lacci o elastici, si pone in contrasto con il regolamento del Comune di Milano che non solo lo permette ma lo rende obbligatorio per i crostacei all’interno degli acquari.

Ad oggi risultano ben oltre cinquanta i Comuni in Italia che hanno Regolamenti in materia di gestione non solo di crostacei ma anche di pesci vivi destinati all’alimentazione umana.

Queste disposizioni di senso opposto dimostrano come non ci sia in materia uniformità di disciplina sul territorio nazionale, con conseguente difficoltà delle aziende del settore che operano in città diverse, le quali dovranno adeguarsi alle diverse discipline vigenti allo sportarsi da un comune ad un altro. Questo crea chiaramente disorientamento e confusione anche tra gli Organi competenti addetti al controllo sia ufficiale che in materia di autocontrollo

Tutta questa “incertezza” della scienza e della normativa sta portando a continui allarmismi sulla stampa nazionale, procedimenti penali a carico di pescherie e ristoranti, dibattiti aperti sui social spesso violenti nei confronti di chi commercializza prodotti ittici vivi, disorientamento di personale pubblico e privato addetto ai controlli in materia, ecc.

Pare evidente che la materia necessiterebbe di un’armonizzazione a livello nazionale per fare chiarezza e facilitare l’operato sia degli OSA che degli Organi di controllo ufficiale. E’ molto importante infatti che sia dato un comune indirizzo a tutti coloro operano nel settore a tale riguardo al fine di, appunto, consentire a tutti di essere a norma e soprattutto operare nel modo più corretto anche alla luce delle nuove scoperte scientifiche.

Considerata l’importanza della materia per gli aspetti pratici, normativi e per i suoi riflessi penali sarebbe davvero urgente l’emanazione di atti finalizzati a chiarire e facilitare l’applicazione uniforme della normativa vigente in grado di conciliare la tutela della protezione dei crostacei con le esigenze commerciali degli operatori del settore e che funga da riferimento chiaro e univoco non solo per la gestione di questo tipo di alimenti/animali, ma anche per le esigenze dell’Autorità Competente addetta al controllo ufficiale per un’azione coordinata e coerente in tutto il territorio nazionale.

Per una più analitica disamina degli studi scientifici sul tema, dei regolamenti degli enti locali, nonché della giurisprudenza in materia di benessere animale, rimando alla lettura del Dossier e Manuale di cui numero 24 della rivista Eurofishmarket “Alimenti o Animali ?” .

Valentina Tepedino, Medico veterinario specializzata in prodotti ittici. Direttore del periodico Eurofishmarket, referente nazionale della SIMeVeP per il settore ittico e dell’Associazione Donne Medico Veterinario

Bibliografia principale

[1] CeIRSA, ASL TO, Regione Piemonte “Esposizione di crostacei vivi ai fini della vendita o della somministrazione”.

Artt. 544 ter e 727 del Codice penale

“Sofferenza di aragoste e astici vivi con chele legate e su letto di ghiaccio durante la fase della commercializzazione”, Paolo Candotti, Centro di referenza nazionali per il benessere animale, Izsler

Eurofishmarket: Dossier “Alimenti o Animali ?” ,1/24/2015 . Autori: V. Tepedino, Avv. D. Pisanello, Dott.ssa V. Sabbioni, Prof.ssa P. Serratore, Dott. G. Torresani, Dott. G. Liuzzo, Avv. L. Vicini, Dott.ssa S. L. Hurtado, Dott.ssa V. Galli.