Un gruppo di ricerca composto da studenti e ricercatori dell’Università di Parma in collaborazione con l’Università di Firenze e il CNR- ISPA di Grugliasco (TO) hanno sviluppato un sondaggio con l’obiettivo di valutare le preferenze dei consumatori riguardo al pesce allevato e a quello selvatico.
Dunque ho deciso di promuovere questo sondaggio sul mio blog per aiutarli a raccogliere più risposte possibili e ci tengo anche a spiegarvi perché a mio parere è importante collaborare a questa iniziativa.
I dubbi e i pregiudizi sul pesce di allevamento sono ancora molti da quanto leggo in numerosi commenti sui social e sui media. Ma sono ancora sconosciuti anche tanti aspetti del prodotto ittico cosiddetto selvaggio. Questo blog vuole essere un ulteriore strumento per essere ancora più vicina alle esigenze di chi ama consumare questi prodotti in modo sempre più consapevole. E non si può fare un acquisto davvero consapevole se non si conosce ciò che si sta o che si potrebbe acquistare.
L’etichetta obbligatoria e le “incomprensioni” più frequenti
L’etichetta obbligatoria sui prodotti ittici freschi in vendita sui banchi pescheria dovrebbe fornire al consumatore moltissime informazioni. Il condizionale è d’obbligo a mio parere poiché noto che il problema è che molte di queste informazioni non sono poi comprese e dunque utilizzate pienamente dal consumatore per effettuare l’acquisto realmente desiderato per prezzo, sostenibilità, aspetti etici, sociali, valori nutrizionali, caratteristiche delle carni o altro ancora.
Ad esempio la denominazione scientifica in lingua latina è obbligatoria ma quanti lo sanno o comunque utilizzano questa informazione a loro vantaggio? Eppure potrebbe essere molto utile per distinguere un cefalo dall’altro e dunque fare la differenza tra una scelta di un prodotto molto apprezzato come ad es. il Mugil cephalus e poco apprezzato come la Liza ramada Entrambi possono anche chiamarsi solo “cefalo” in lingua italiana. Dunque scegliere una specie piuttosto che l’altra cambia il risultato del successo gastronomico del piatto e anche demotiva il futuro nuovo acquisto. Tornando al caso citato del “cefalo” infatti, chi mangia quello “sbagliato” difficilmente lo riproverà anche spiegandolgli che ci sono sei specie di cefalo differenti di cui tre davvero molto interessanti e pregiate.
Altro esempio potrebbe essere quello dell’origine. Molti consumatori guardano con superficialità l’origine del prodotto che in molte etichette è riportata con una zona FAO che rimanda ad una cartina appesa ad una parete della pescheria e alquanto illeggibile non tanto, o soltanto, per la distanza alla quale è posizionata rispetto al banco ma anche perché comunque non mi rende l’idea precisa di dove sia stato effettivamente pescato il prodotto selezionato. Se ad esempio trovo su una etichetta la zona FAO 37.2.1 potrei individuare sempre in etichetta o sulla cartina che si tratta del Mar Mediterraneo Centrale ed in particolare del Mar Adriatico ma non riesco a sapere se si tratta di un pescato nazionale o da altri Paesi bagnati da questo mare come ad es. dalla Croazia. Dunque se il mio obbiettivo è ricercare prodotti ittici italiani o pescati nella mia regione o addirittura nel porto più vicino devo sapere che questa informazione è volontaria e non obbligatoria in etichetta e dovrei preferire effettuare il mio acquisto su quei banchi dove il pescivendolo indica anche questa informazione volontaria in modo molto chiaro aggiungendo o la località di pesca o la regione o la nazione.
Anche l’esempio relativo all’informazione obbligatoria sulla categoria dell’attrezzo di pesca utilizzato risulta oggi per quasi tutti gli acquirenti superflua o comunque incomprensibile. Questo lo penso anche io che conosco il significato di “palangaro” o di “rete da traino”, ecc. E lo penso perché in generale capisco che oggi chi acquista non è aiutato da questa info a preferire un prodotto piuttosto che un ‘altro sulla base della categoria dell’attrezzo di pesca utilizzato. Inoltre anche se ci sono attrezzi da pesca più o meno selettivi la categoria indicata in etichetta oggi è davvero molto generica.
Noto anche che per l’informazione obbligatoria sulla dichiarazione degli ingredienti quando presenti c’è molta confusione. Questo è determinato dal fatto che molti consumatori partono dal presupposto che la dicitura di prodotti ittici freschi corrisponda a quella di prodotti ittici naturali ossia senza alcuna aggiunta di nessun tipo. Fatta eccezione per i prodotti ittici preparati o semi preparati a banco quello che molti consumatori non leggono nelle etichette dei prodotti ittici freschi è l’aggiunta di additivi, quando presenti. Infatti sono diversi gli additivi consentiti dalla legge e utilizzati nei prodotti ittici freschi per scopi tecnologici come il miglioramento della loro shelf life. L’importante e l’obbligo per legge è dichiararli in etichetta inserendo la categoria alla quale appartengono (ad es. antiossidanti) e la loro denominazione (ad es. ac. citrico) o la lettera “E” con il numero di riferimento per identificarli. E allora perché continuano a passare inosservati? Se chiedessi a voi lettori di dirmi se ha mai comprato prodotti ittici freschi con additivi credo che il 90% dei non addetti ai lavori mi direbbe di no motivandolo anche con l’impossibilità per legge di potere incorrere in tale possibilità. A mio parere, ribadisco, il problema è che il consumatore non conoscendo questa possibilità (utilizzo degli additivi anche nei prodotti ittici freschi) la ignora appunto anche quando è descritta in etichetta sia perché a volte gli risulta incomprensibile e sia perché a volte la stessa etichetta rimanda impropriamente ad un libro ingredienti che non viene aperto dalla stragrande maggioranza degli acquirenti.
L’ultima informazione obbligatoria in etichetta e che poi è stata il “pretesto” per sottolineare l’importanza della corretta informazione per fare una spesa consapevole è la voce: “metodo di produzione”. Quest’ultima è utile al consumatore per capire se il prodotto è stato allevato o è stato pescato (selvaggio). Questa informazione sembra interessare molto il consumatore che però oggi dimostra ancora grande confusione sull’argomento. Ciò è a mio parere dimostrato dalla discrepanza tra quello che dicono le indagine condotte intervistando sull’argomento i consumatori e quelli che sono poi nella realtà gli acquisti di prodotti ittici in Italia e non solo. Difatti a fronte di continui allarmismi e spesso polemiche infondate sul prodotto ittico di allevamento e dei commenti social e dei risultati delle interviste ai consumatori spesso a favore del “pescato” oggi in Italia oltre il 50% del prodotto ittico che consumiamo deriva dall’acquacoltura. Questo a mio parere significa che moltissimi consumatori preferiscono il prodotto ittico allevato o comunque lo acquistano non comprendendo che è allevato o per necessità o altro.
Per questo vi invito a rispondere al sondaggio elaborato dall’università e a diffonderlo ai vostri contatti al fine di raccogliere più risposte possibili e utili poi a studiare delle strategie di comunicazione più idonee e mirate per creare maggiore conoscenza in materia.
Dunque vi chiedo 10 minuti e vi ringrazio anticipatamente per la preziosissima collaborazione che fornirete. I risultati di questa ricerca saranno elaborati dai partner del progetto e vi terrò chiaramente aggiornati sui risultati.
Ecco il link per compilare il questionario. Le risposte rimarranno completamente anonime e riservate: https://parmadaf.fra1.qualtrics.com/jfe/form/SV_bCq9GNeUlkr5bCZ
Grazie, Valentina
Valentina Tepedino
Medico veterinario specializzata in prodotti ittici. Direttore del periodico Eurofishmarket, referente nazionale della SIMeVeP per il settore ittico e docente a contratto presso l’Università di Medicina Veterinaria di Bologna