“C’era una volta il pesce di fiume” potrebbe sembrare il solito titolo che riporta alla sempre maggiore carenza delle risorse ittiche nelle nostre acque esterne e interne. Ma non è così…Non che la risorsa anche delle acque interne non si sia ridotta in questi ultimi anni, come si sono ridotte d’altronde anche il numero delle barche e dei pescatori professionisti. Ma il tema centrale di questo articolo, che in realtà vuole essere un vero e proprio appello a cuore aperto a tutte le istituzioni coinvolte, ai media e agli attori di questa filiera, è quello di provare a salvare un mestiere antichissimo e che dà ancora lavoro a centinaia di famiglie in Italia oltre a fornire prodotto ittico dei nostri fiumi e a costituire una sorta di servizio “sentinella” per la preservazione dell’ambiente e della risorsa fluviale: sto parlando dei pescatori professionisti autorizzati alla pesca in fiumi e canali.
Non sono impazzita. Ma per salvare il pesce andrebbero preservati, secondo me, proprio i pescatori professionisti ossia quelli che sanno fare il loro lavoro perché lo fanno da generazioni, perché hanno le autorizzazioni e la formazione per farlo, perché hanno la passione per farlo e hanno anche un grande rispetto dell’ambiente che gli fornisce la risorsa senza la quale non avrebbero più un mestiere.
Dov’è il problema allora ? Settimana scorsa mi sono recata a Chioggia per gli Stati Generali della Pesca, un evento dedicato a discutere di pesca, a fare rete ma soprattutto a portare delle soluzioni concrete per questo settore…E per questo settore intendo: i pescatori professionisti ma anche il mercato, i consumatori, l’ambiente e la risorsa.
In questa occasione scopro che è stato proposto un disegno di legge (2328) che è vicino a diventare ormai legge, che in piena sordina sta mirando a rendere illegale la pesca professionale nelle acque di fiume e nei canali.
Questo disegno di legge è “travestito” molto bene poiché chi lo legge ( ossia gli onorevoli chiamati a leggerlo e a votarlo) interpreta che lo stesso sia utile ad eliminare il triste fenomeno del bracconaggio nei fiumi e simili.
Peccato però che il disegno di legge in questione assimili i pescatori professionisti di fiume e canale niente poco di meno che ai bracconieri ossia a “persone che esercitano la caccia o l’uccellagione abusiva a scopo di lucro o per diletto; cacciatori di frodo” (definizione vocabolario Treccani).
In poche parole il suddetto disegno di legge dice che per eliminare il fenomeno del bracconaggio nei fiumi e canali bisogna abolire la pesca professionale nei fiumi e nei canali.
Paradossale che l’emendamento pensato per risolvere l’intera questione lasci inalterato il problema di come fare a combattere la pesca illegale senza mettere fuori legge quelli che lavorano artigianalmente nei fiume e nei canali. Ho letto più volte il testo del disegno di legge in questione poiché, a dirvi la verità, pensavo che i pescatori mi avessero riportato una informazione esagerata o comunque compresa male in quanto paradossale. E ancora paradossale è infatti secondo me associare un mestiere come quello del pescatore professionista ad una attività illegale e immorale come quella di un bracconiere. E paradossale è anche la soluzione poiché l’eliminazione del pescatore professionista non solo non porterà all’estinzione del bracconaggio ma addirittura potrebbe dare a quest’ultimo maggiore spazio d’azione e sì, portare all’estinzione del pesce di fiume. Difatti come ho già sopra riportato, i pescatori svolgono anche un ruolo importante per il controllo del territorio sia dal punto di vista ambientale che della risorsa compresa proprio la segnalazione di bracconieri alle autorità competenti.
Per questo motivo sono molto preoccupata dell’eventuale successo futuro di questa proposta di legge (che poi andrebbe anche verificata per quanto riguarda la sua validità giuridica) e spero che quantomeno, sia consentito ai pescatori professionisti di fiume di avere un “processo” regolare dove argomentare tutto quanto hanno da dire e confrontarsi con le controparti e soprattutto alla luce del sole.
Eliminare un mestiere ancora possibile e ancora utile infatti merita almeno una motivazione reale e non può nascondersi dietro una ragione irragionevole e a dir poco surreale.
Questo disegno di legge meriterebbe un tapiro d’oro da parte di Striscia la Notizia e potrebbe essere quasi considerata una gag di Scherzi a parte. Speriamo finisca così…come una proposta poco ragionata che viene rivista e modificata per raggiungere lo scopo virtuoso che si era proposto ossia ostacolare in modo più concreto il bracconaggio intervenendo con strumenti e risorse idonee a questo scopo e con pesanti denunce penali e sanzioni amministrative altissime per chi viene trovato a farlo. Anche se a farlo dovesse essere un pescatore professionista o sportivo che sia perché in quel caso si tratterebbe comunque di un bracconiere che nulla ha a che vedere con i suddetti.
Per tutti coloro avessero voglia di approfondire quanto sto “denunciando” li invito a leggere tutti i contenuti e contributi seguenti dove troverete ulteriori dettagli e testimonianze utili a comprendere meglio i motivi della mia ( e non solo) concreta preoccupazione.
Per prima cosa vi riporto di seguito un estratto dell’intervista che Cesare Paolucci di Eurofishmarket ha fatto al pescatore di fiume Dionisio Crosera, Presidente della Consorzio Veneto Pesca Artigianale (CO.PE.VA) associazione che rappresenta e associa in Veneto oltre una sessantina di pescatori professionisti , per meglio fare comprendere a chi legge di cosa si parla, quando si parla di questo tipo di pesca, attraverso le parole di chi la pratica da generazioni. Io ho avuto il privilegio di conoscerlo e mi sono ripromessa di effettuare a breve un servizio accurato sull’attività che svolge da generazioni.
Quanti pescatori sono coinvolti nella pesca professionale nella sua area di competenza e in Italia?
“In Italia vi sono circa 1200 fiumi, se anche ci fosse un pescatore ogni tre fiumi, si potrebbe parlare di 400 pescatori. Per quanto riguarda la mia regione solo nel Veneto contiamo più di 60 pescatori professionisti che svolgono l’attività nelle acque vietate nel provvedimento” e secondo Dionisio la stessa Regione avrebbe rilasciato circa 3000 licenze di tipo A (pesca professionale ) ma andrebbe fatto un censimento aggiornato in merito.
Come pesca lei? Da quanto tempo è impegnato in questa attività? Quali sono i metodi di pesca professionale?
Dionisio è un pescatore professionista ed è mestiere tramandato nella sua famiglia da tante generazioni (almeno sette). Il pescatore utilizza il “Bertovello” o “Trattore”, un tipo di rete da pesca classificabile come rete da posta fissa o come un tipo di nassa. Si tratta di una rete con una grossolana forma ad imbuto con al termine della strettoia una camera: il pesce entra nel bertovello ed una volta superata la strozzatura dell’imbuto ed essere entrato nella camera finale non riesce più ad uscirne. I pescatori lasciano i bertovelli in acqua e, dopo un certo tempo, passano a ritirarli con quanto hanno catturato. La pesca è stagionale, da settembre fino a fino dicembre, in quanto al 31 gennaio vi è un fermo pesca imposto da normativa per tutelare la risorsa ittica. La pesca coinvolge prevalentemente l’anguilla, in canali e lagune, ma poi si amplia ad altre specie come cefalo, branzino e orata di taglia selezionata, in quanto più redditizie al mercato e più facilmente vendibili. Hanno tramagli con 3 maglie, di cui 2 larghe e la interna più stretta, che determina la misura del pesce, generalmente tenuta più larga possibile anche per convenienza economica, per prendere pesci più grandi e vendibili, comunque più grandi della misura minima. Questa pratica di aumentare la taglia delle maglie per essere più selettivi è molto diffusa oggi ed è molto utile ad evitare il più possibile di catturare pesci troppo piccoli e che ancora non si sono dunque riprodotti.
Quali sono i fiumi e canali dove viene svolta l’attività di pesca? Quali sono le specie target della pesca?
Le specie target sono anguilla, branzino, orata, cefalo. Si è notato un drastico declino della passera di mare. Secondo il pescatore diverse sono le cause: inquinamento, variabilità nei livelli dei corpi idrici e presenza di specie alloctone e/o dannose, come il cormorano, siluro, lucioperca, aspi e altri. Queste specie hanno difficilmente un mercato, e di conseguenza non rappresentano una possibile fonte di reddito, almeno per il momento. In particolare, il pescatore correla la drastica diminuzione della presenza di anguille all’aumento di siluri negli areali di pesca.
Quanto è economicamente importante la sua attività professionale? Ha anche delle implicazioni sull’attenzione al territorio? È sostenibile?
E’ importante e garantisce da vivere per diverse persone. Dionisio ha 65 anni, è sempre vissuto di pesca e riconosce l’importanza dell’ esperienza nel suo campo anche per ottenere una redditività della sua professione. Ogni giorno i professionisti coinvolti vedono i cambiamenti che subisce l’ambiente, ad esempio, notano come i canneti stiano diminuendo, e, siccome sono degli elementi importantissimi per la presenza dei pesci, sono uno degli elementi più importanti per la sussistenza dei pescatori. I pescatori vedono anche come gli argini vengano rovinati dalle nutrie e segnalano il pericolo alle autorità competenti. Secondo l’opinione dell’esperto pescatore, l’attività di pesca professionale è sostenibile e può aiutare l’ambiente. Si nota l’attività che c’è nel fiume e la qualità dell’acqua, e anche la quantità dell’acqua, con particolare riferimento al cambiamento dei livelli. Vi è tutta una serie di osservazioni, secondo Dionisio, che solo i pescatori professionisti possono riportare, fungendo effettivamente da sentinelle ambientali. Il pescatore riporta come ci sia sempre meno sorveglianza. Il professionista definisce la sua professione sostenibile e porta come esempi di ciò le pratiche che vengono adottate comunemente, come cambiare areale di pesca frequentemente, non esagerare con il pesce pescato e riporta come il rispettare l’ambiente ripaghi con catture più abbondanti. Se ci fosse un mercato per specie alloctone sarebbe possibile limitarne la presenza, rendendo di fatto più realistica un attività di controllo delle stesse.
Cosa è stato fatto per tutelare la risorsa ittica?
Esiste un periodo di fermo pesca di 3 mesi per anguilla dal 1 gennaio al 31 marzo, in seguito ad indicazioni della Comunità Europea. Lui si dice disponibile anche ad utilizzare una maglia di dimensioni tali da garantire la fuga ad anguille che potrebbero essere legalmente catturate ma giudicate troppo piccole per lui in ogni caso. Esistono anche periodi di fermo per la passera (2 mesi) e per le altre specie si rifanno comunque ai periodi di divieto del calendario regionale.
Sono stati fatti dei ripopolamenti con l’aiuto della provincia e del comune, su circa 200km di canali, e numerose volte sono state fatte semine. Non esiste una quota massima di pescato e si va a buon senso. Va contro l’interesse del pescatore trattenere più pesce perché non si riesce a vendere o si svende e priva il fiume della capacità di rigenerare le sue risorse.
Cosa minaccia la vostra professione al giorno d’oggi?
Il bracconaggio a cui si fa riferimento viene riferito al carassio, carpe e siluro, principalmente nel Fiume Po, che avviene con corrente elettrica ed altri metodi illegali per commerciarli
all’estero. Dionisio afferma che i bracconieri sono persone spesso “note” e non sarebbe dunque difficile intercettarli e rintracciarli. Afferma che sarebbe sicuramente strategico un controllo capillare sulla tracciabilità dei pesci di acqua dolce che arrivano nei mercati all’ingrosso ed inviati all’estero.. Sicuramente i mercati di vendita di questi prodotti rappresentano punti nevralgici dove si dovrebbero effettuare più controlli per contrastare il fenomeno.
Le autorità competenti stanno svolgendo un lavoro appropriato o sufficiente nel controllare attività illegali?
C’è poca possibilità di controllo, con scarso personale e quello che c’è viene utilizzato in altre zone (stabilimenti balneari). Ci sono molte guardie volontarie FIPSAS.
Di seguito riporto il commento di Gilberto Ferrari, Direttore Confcooperative – Federcoopesca, che ci risulta essere ad oggi l’unica associazione che si sta battendo per modificare l’emendamento ed evitare la cancellazione della categoria di pescatori professionisti di fiume.
“Lascia profondamente perplessi il principio sotteso a questa norma: in questo modo comunque si consente di proibire un mestiere, quello della pesca professionale, a meno che le regioni o le province autonome non decidano diversamente. E se ciò non accadesse? Anziché tutelare il lavoro lo si mette fuorilegge a meno che non si decida di riabilitarlo. Se passasse, e ci auguriamo proprio di no, verrebbe affermato un pericoloso precedente, ovvero che si possa per legge proibire il lavoro, a dispetto di quanto previsto dalla nostra Costituzione che lo tutela al punto di farne il pilastro fondante della Repubblica. Affermato oggi questo principio per le “marginali” acque interne, domani potrebbe essere replicato per qualunque altra attività di pesca (i palangari, le reti da posta, lo strascico, e così via…).Senza considerare poi che, nel caso di specie, parliamo di un’occupazione fortemente artigianale, di nicchia, praticata da centinaia di pescatori che esercitano una vera e propria arte, più che un mestiere, e che invece di essere tutelata, difesa, valorizzata, riscoperta (anche per promuovere nuova occupazione), viene messa al bando. Stasera le persone con cui ho parlato, e che mi hanno girato questa proposta emendativa, erano incredule e spaventate per il timore di perdere immotivatamente ed incomprensibilmente il loro lavoro. Ci auguriamo che tutto ciò non accada perché, diversamente, sarebbe un pessimo segnale nei confronti di un settore che soffre già di tanti problemi, il primo dei quali è l’assenza di turnover e di prospettive concrete per il futuro; e ciò è ancor più grave se pensiamo che il prossimo sarà l’Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura (IYAFA 2022). Nel corso della cerimonia dello scorso novembre il direttore generale della FAO, Qu Donyu, ebbe modo di evidenziare il contributo dato dai pescatori artigianali, dai piscicoltori e dai lavoratori del settore ittico al benessere umano, a sistemi alimentari sani e all’eradicazione della povertà, attraverso un uso responsabile e sostenibile delle risorse ittiche e dell’acquacoltura. Nel suo intervento, il Direttore Generale Donyu ha altresì sottolineato come la visione alla base dell’Anno sia allineata ai ”Quattro Miglioramenti della FAO: produzione migliore, nutrizione migliore, ambiente migliore, vita migliore per tutti – nessuno escluso”. Bene, sarebbe veramente paradossale se tutto ciò accadesse proprio quando le Nazioni Unite stanno chiedendo al mondo intero di dedicare più attenzione a questo meraviglioso mestiere, tanto affascinante quanto fragile e faticoso”
Ho voluto riportare per intero la breve dichiarazione del Dott. Ferrari a seguito della lettura della proposta di legge perché a mio parere esprimono in maniera davvero sintetica ma efficacie lo sconforto e la perplessità che tutti noi dovremmo provare a fronte di questa ingiustizia. Anche modificare l’emendamento lasciando la decisione a discrezione delle Regioni e delle Province autonome non sarebbe corretto oltre per il fatto di non dare comunque una garanzia di continuità ai pescatori ma anche per l’incoerenza di tanti progetti che ho visto realizzare in questi anni dalle regioni per valorizzare il pesce di fiume, il ripopolamento utile a garantire la pesca in queste acque oltre che la risorsa. Per non parlare di un buon numero di cuochi che sta riproponendo e valorizzando i pesci “dolci”. Quanti cuochi e associazioni di cuochi sono state informate di questa proposta di legge?
Per saperne di più riporto di seguito una delle numerose lettere di CO.PE.VA alle Istituzioni competenti:
Oggetto: proposta di legge “Modifiche all’articolo 40 della legge 28 luglio 2016, n.154, in materia di contrasto del bracconaggio ittico nelle acque interne “(2328)
Il CO.VE.PA., Consorzio Veneto Pesca Artigianale, che rappresenta gli interessi di diverse imprese ittiche che esercitano la piccola pesca artigianale sia in mare sia nelle acque interne (lagune e fiumi) della regione Veneto, esprime viva preoccupazione per la proposta di Legge S. 1335 Senatori Simone Bossi ed altri “ Modifiche all’articolo 40 della legge 28 luglio 2016, n.154, in materia di contrasto del bracconaggio ittico nelle acque interne” (approvato dalla 9° Commissione permanente del Senato) (2328) ,ed attualmente in discussione presso la XIII Commissione Agricoltura della Camera.
Tale proposta giustamente si pone l’obiettivo di contrastare maggiormente la pesca illegale/bracconaggio della fauna ittica nelle acque interne nazionali, ed in particolar modo nelle acque dolci; obiettivo pienamente condiviso dai pescatori professionisti regolari che vedono il loro settore fortemente penalizzato da tale fenomeno, sia per la sottrazione illegale di prodotto ittico dall’ambiente, sia per la irregolare/non tracciabilità del prodotto ittico venduto, sia per le ripercussioni sociali e nell’opinione pubblica, in quanto il pescatore professionale viene spesso assimilato ad un possibile pescatore illegale/abusivo.
E’ perciò pieno interesse della categoria collaborare per l’eliminazione del fenomeno.
E’ però con sconcerto che si consta come la proposta di legge in oggetto, nata per penalizzare maggiormente la pesca illegale/bracconaggio attraverso la modifica della legge 28 luglio 2016, n.154, in particolare dell’ art. 40 (Contrasto del bracconaggio ittico delle acque interne), nei commi da 1 a 7, e 10 , proponga, all’Art. 1, comma 2, lettera b):
“dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
2-bis. Nelle acque interne, ad esclusione di quelle indicate al comma 2, è vietato:
- a) l’esercizio della pesca professionale, nonché l’uso di strumenti e attrezzi atti a tale attività;
E’ ovvio che con questo punto a) del comma 2 bis, se approvato viene a cessare di fatto l’attività professionale di pesca nelle acque dolci di fiumi e canali su tutto il territorio nazionale.
Lasciando attiva (in base al comma 2) la pesca professionale solamente in alcuni laghi (allegato 1) e nelle acque salse, salmastre, lagunari.
La pesca ricreativa/sportiva ha invece diritto di attività in tutte le acque.
Si sottopongono di seguito delle brevi osservazioni in merito ad alcuni aspetti critici della proposta di legge in oggetto:
–Aspetti occupazionali
La pesca professionale nelle acque interne in Italia non è anacronistica e/o un retaggio del passato, ma ancora presente specie nei bacini dei grandi fiumi, laghi e lagune. Nella sola regione Veneto, ove opera il CO.VE.P.A. attualmente sono presenti ca 2800 addetti in possesso della Licenza di pesca professionale di tipo A, titolo che abilita alla pesca di professione nelle acque interne sia lagunari sia dolci, concentrati maggiormente nell’area della provincia di Rovigo, nella zona del Polesine; sebbene ci sia un segmento di pescatori specializzati nelle sola pesca in acque dolci, spesso molti altri, soprattutto nell’area deltizia del fiume Po pur esercitando l’attività prevalente nelle acque salmastre lagunari , svolgono l’attività integrativa anche in quelle dolci, in funzione delle opportunità di mercato, delle condizioni meteo-climatiche e altre variabili. Il divieto di pesca proposto colpirebbe indistintamente tutti i pescatori titolari di Licenza A, sia quelli con reddito derivante solo dalle acque dolci sia quelli con il reddito derivante da queste in forma integrativa; il rischio è quello di creare tensioni e instabilità sociale della categoria, e forse vanificare l’obiettivo della normativa antibracconaggio.
Si deve ricordare che soprattutto nell’area deltizia del fiume Po, le opportunità di lavoro territoriali sono molto limitate,e la pesca ( in tutte le sue forme) rappresenta da sempre per la popolazione locale sia una fonte primaria di sostentamento economico, sia una sorta di ammortizzatore sociale nei periodi di crisi.
–Aspetti ambientali
E’ una falsa opinione quella per cui la pesca professionale sia responsabile dello svuotamento della fauna ittica dai fiumi, la pesca professionale nelle acque interne dolci è stata esercitata per secoli in Italia, ed in Europa , per scopo alimentare, e fino agli anni ’50/60 del ‘900 coinvolgeva un numero di esercitanti l’attività in forma stagionale o permanente, ben superiore a quello attuale; eppure durante questo lunghissimo periodo nessuna fenomeno di estinzione o depauperamento significativo della fauna ittica autoctona si è verificato per tale attività (come ben dimostrato dalla bibliografia tecnica) . Fenomeno che purtroppo si è verificato e amplificato a partire dagli anni ’70-80, per i ben noti problemi di degrado ambientale e fluviale, agricoltura intensiva, antropizzazione ecc.., e non da ultimo per la recente introduzione di specie esotiche /aliene nei fiumi e laghi, di cui alcune fortemente invasive e impattanti sulla fauna autoctona; purtroppo l’Italia ha il triste primato nella UE di avere, in molte aree, oltre il 50% della propria fauna ittica dulciacquicola di tipo non autoctono, problematica questa che si deve confrontare con l’applicazione della normativa ambientale sulle stato ecologico delle acque e conservazione delle specie a rischio (DPR 357/1997, DPR 120/2003, DPR 152/2006) (vedi rapporti ISPRA sull’argomento).
Alcune delle specie ittiche aliene invasive, (es. siluro,carassio, ed altri ) attualmente sono sfruttate significativamente dalla pesca professionale, soprattutto nel fiume Po, in quanto apprezzate in alcuni mercati UE (ma non in Italia). Si giova ricordare che nei grandi fiumi la pesca professionale è un metodo efficiente per limitare la presenza numerica delle specie aliene, e la chiusura proposta dell’attività di pesca fermerebbe il loro l’asporto con il risultato di un loro ineludibile incremento quantitativo a danno della restante fauna ittica autoctona, e in definitiva un peggioramento dello stato ecologico delle acque.
–Aspetti storici- culturali-tradizionali.
La pesca professionale nelle acque interne rappresenta una delle prime forme di attività di raccolta di prodotto per il sostentamento alimentare, ben prima della pesca marittima, e si è mantenuta e tramandata,evolvendosi, fino ai nostri giorni soprattutto nelle aree maggiormente vocate quali le zone umide, lacustri ed i grandi bacini fluviali. Ciò ha determinato il formarsi di un tessuto sociale fortemente integrato con tali territori, in cui lo sfruttamento delle risorse acquatiche è un collante sociale, e in cui i pescatori professionali e le loro famiglie sono i veri portatori di forti valori tradizionali e culturali legati al territorio, e con cui lo stesso territorio può essere gestito in modo sostenibile. La chiusura proposta dell’attività di pesca produrrebbe perciò, una vera perdita di tali valori e saperi, perdita che nel tempo non sarà più recuperabile.
– Pesca professionale e pesca ricreativa
La legge proposta, nella sua formulazione attuale, pare porre in forte contrasto l’attività di pesca professionale con quella della pesca ricreativa, ponendo quest’ultima come unico soggetto che possa avvalersi dei diritti di pesca nei fiumi. In realtà ambedue le attività, se svolte correttamente e nel rispetto dei regolamenti, non confliggono fra loro, in quanto alcuni obiettivi di fondo sono gli stessi:
- a) Lotta alla pesca illegale che danneggia gravemente entrambe le attività
- b) Conservazione e miglioramento ecologico dell’ambiente: maggiore qualità ambientale delle acque e tutela dell’ittiofauna significa risultati migliori nella produttività, sia per la pesca ricreativa sia per la pesca professionale, che ha tutto l’interesse economico che ciò avvenga.
- c) Eliminazione/riduzione delle specie ittiche aliene invasive, attraverso l’azione di pesca di entrambe le attività , che limitandone il numero possono favorire il ripristino della fauna ittica autoctona. Per la pesca professionale tale attività è una opportunità economica e nel contempo svolge un servizio ambientale.
Infine pubblico (con il permesso di Dionisio Crosera, autore della medesima) la lettera informale di un pescatore anacronistico, “inopportuno, antiquato ,superato , fuori del tempo” e rivolta all’On. Senatore Simone Bossi promotore del disegno di legge N. 1335 oggetto di questo articolo.
“Caro Senatore Simone Bossi, premetto che sono veramente preoccupato del fenomeno del bracconaggio nei fiumi e canali Italiani, come del commercio illegale del pesce frutto dell’abusivismo in generale. Ringrazio le forze dell’ordine e molte guardie volontarie dislocate nei corsi d’acqua della nostra nazione per l’impegno ed il servizio alla causa ittica rischiando la vita. Mi rivolgo a Lei perché portavoce e promotore di un pensiero ricorrente in questi giorni: il pescatore professionale è paragonabile a: bracconiere, delinquente, evasore, pericoloso distruttore dell’ambiente fluviale. Inoltre Lei si è fatto promotore della legge 154 del 28 luglio 2016 sulla pesca delle acque interne, la quale riscrive le norme sulla pesca derivanti dal regio decreto di Vittorio Emanuele III numero 1604 del 8 ottobre 1931; la 154, una legge che ha aggiornato la normativa in materia pesca trovando non poche difficoltà nel calarla alla pratica; una legge necessaria che regola la pesca nei fiumi e tutte le acque interne, comportando modifiche del lavoro a molti pescatori professionali, un lavoro tramandato da generazioni con sapienza e rispetto per l’ambiente. La pesca nelle acque interne è talmente diversa da luogo a luogo e poco conosciuta tanto da aver creato difficoltà nel produrre un testo equilibrato per normare la materia, sicuramente la collaborazione di tutte le parti migliora la comprensione ed applicabilità del testo della legge.
La motivazione per cui oggi sono a scriverle è proprio per portarle alla sua attenzione un aspetto che forse non si è previsto nella modifica dell’articolo 40 della legge di cui sopra citata, definita “legge antibracconaggio”, mi trova in accordo nella finalità di contrastare il fenomeno, ma in netta contrarietà perché vieta di fatto la pesca professionale , lasciando a casa circa 300 (trecento) famiglie e togliendo il diritto di pescare a più di 5000 (cinquemila) pescatori che oggi hanno in licenza questa possibilità. Per contrastare il bracconaggio non è necessario vietare la pesca professionale solamente, o si considera che tutti questi pescatori siano delinquenti? Il fondamento di chiudere la pesca professionale nei fiumi e canali per risolvere il problema è sbagliato anzi favorisce il bracconaggio mancando degli occhi che possono controllare e segnalare eventuali azioni illegali. Veda cosa si è ottenuto con il divieto della pesca notturna nella provincia di Rovigo il bracconaggio non è diminuito, anzi… Come lei ha definito la mia categoria, io sono un “pescatore anacronistico” ho iniziato fin da piccolo a uscire a pesca con il nonno e mio padre e dal 1972 quando ho raggiunto l’età dei 16 anni sono regolarmente imbarcato per contribuire al mantenimento della famiglia, con l’aiuto del Signore e mia moglie, con la pesca abbiamo allevato due figli, laureati e che svolgono il loro lavoro in Italia. Sono soddisfatto del lavoro che faccio con molta passione, e penso che sia possibile consegnare ai giovani una attività che permetta sia di lavorare che di trasmettere sani principi nel rispetto ambientale. Noi tutti siamo responsabili e custodi del futuro delle nuove generazioni, l’educazione ricevuta fin da piccolo mi ha insegnato che si dovrebbe lasciare l’ambiente meglio di come lo abbiamo trovato. Purtroppo l’egoismo è un male di cui l’uomo è infettato e fa molta fatica a guarire. Nella mia esperienza lavorativa ho contrastato fenomeni di bracconaggio rischiando seriamente, ho segnalato fenomeni di inquinamento nei fiumi, inquinamenti che hanno distrutto la fauna ittica di interi corsi d’acqua. Partecipo attivamente ad azioni di monitoraggio e ricerca, collaboro con istituti scientifici, offro il mio contributo ad iniziative didattiche a sostegno dell’ambiente. Un ambiente che vorrei vedere libero dalle insidie dei bracconieri ed inquinamenti; un desiderio possibile solo con la collaborazione di tutti, non creando competizioni tra le categorie di pescatori sportivi e professionisti, una contro l’altra come una sorta di tifoseria calcistica. Questo agire fa bene solo alla causa elettorale e non all’ambiente.”
In ultimo, ma preziosissima, allego la seguente lettera inviata dalla più importante Associazione di Categoria della pesca Italiana alla Camera dei Deputati
ESTRATTO DELLA LETTERA INVIATA DA CONFCOOPERATIVE-FEDERCOOPESCA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI NEL LUGLIO 2021
“…omissis…
Camera dei Deputati
On. Presidente,
in vista del prossimo esame in sede referente, ci permettiamo di sottoporre nuovamente alla Sua attenzione la proposta di legge C-2328 (Modifiche all’articolo 40 della legge 28 luglio 2016, n. 154, in materia di contrasto del bracconaggio ittico nelle acque interne) il cui Relatore sarà …omissis…
A nostro avviso essa, infatti, sembra presentare alcuni elementi e profili di perplessità, in primis sotto l’aspetto della compatibilità costituzionale, con riguardo alle competenze regionali nella materia oggetto della proposta di intervento normativo, poiché introduce un divieto (sostanzialmente assoluto) all’esercizio della pesca professionale nei canali e nei fiumi, mediante una fonte primaria statale, in un ambito che, invece, ci sembra dovrebbe essere considerato regionale.
Riteniamo infatti che la gestione delle attività di pesca sul territorio (segnatamente nelle acque interne) non possa dirsi attinente alla materia “ambientale”, né invero la proposta di legge de qua dovrebbe avere una valenza ascrivibile appunto all’ambiente, quale settore “trasversale” di competenza statale. Neppure l’iniziativa parlamentare sembra essere finalizzata a dare ottemperanza a fonti europee nell’ambito della politica comune della pesca, presentandosi piuttosto estemporanea ed isolata anche rispetto ad altre esperienze negli Stati membri Ue (ciò che di per sé pregiudicherebbe iniquamente i pescatori italiani: ci si chiede se tale aspetto sia stato riflettuto dai proponenti).
Ci sembra che si tratti, dunque, di una non legittima “invasione di campo” da parte del legislatore statale rispetto a quelli regionali, sia quanto alla materia “pesca” che alla materia “acque interne”, che potrebbe sfociare in un potenziale contenzioso con tutti gli enti territoriali (i fiumi ed i canali sono presenti in ogni realtà regionale Italiana).
A tale grave criticità sotto il profilo giuridico, si potrebbero aggiungere gli effetti che tale disposizione avrebbe sulle economie delle zone fluviali coinvolte: essa andrebbe infatti a recidere importanti filiere di attività basate sulla pesca professionale, sfocianti finanche sul turismo e la cultura. Attività che, soprattutto in alcune regioni italiane quali Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Lazio, si connotano per una presenza solida e storica: realtà imprenditoriali di piccola pesca artigianale che hanno contribuito nel tempo alla valorizzazione del prodotto e delle tradizioni locali…omissis”.
Resto a disposizione di tutti gli interessati per ulteriori informazioni o per intervistare e approfondire l’argomento con gli intervistati o con materiale in nostro possesso. Continuerò ad informarvi sull’andamento della proposta di legge e soprattutto chiedo a tutti coloro possono e credono in questa causa di fornire ai pescatori professionisti di fiume la massima collaborazione per dare a questa tematica la giusta considerazione. Chiedo anche il supporto delle Regioni, delle Istituzioni competenti e delle Associazioni di Cuochi oltre che dei media per occuparsi della questione approfondendola al fine di potere dare, nel modo che riterranno più opportuno, il loro contributo in materia.
Grazie
Valentina Tepedino, medico veterinario specializzato in prodotti ittici. Direttore del periodico Eurofishmarket e autore del Blog “InforMare per non abboccare”.
Ringrazio Dionisio Crosera di COPEVA e Gilberto Ferrari di Confcooperative-Federcoopesca per l’importante supporto ricevuto nella ricerca delle informazione pubblicate, per la disponibilità a questa intervista e anche per l’importante lavoro che stanno realizzando con le loro associazioni a supporto di questo importante settore.