Negli ultimi mesi non c’è settimana che non leggo su media dell’ormai famoso “Granchio blu”. Fino a quasi un anno fa, eccetto gli addetti ai lavori e specialisti del settore ittico, la maggioranza dei distributori, consumatori e cuochi italiani ignoravano questa specie ittica che ormai da anni si è ben adattata anche nelle acque dolci e salmastre del nostro Paese. Difatti il cosiddetto “Granchio blu” la cui denominazione corretta e obbligatoria per legge dettata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali è “Granchio nuotatore” (Callinectes sapidus), arriva in Europa ai primi del 1900 partendo dalle lontane acque americane dell’Atlantico occidentale probabilmente trasportato nelle acque di zavorra delle grandi navi commerciali. E da allora ne ha fatta di strada o meglio “di acque” questo decapode anche grazie alla grande sopravvivenza delle sue fasi larvali, alla sua fortuna di essere una specie eurialina ed euriterma ossia capace di sopportare anche grandi variazioni di salinità tollerando tanto acque dolci quanto saline così come forti escursioni termiche e di essere un capace predatore di pesci, molluschi e crostacei vivi ma anche morti. Forse queste le ragioni principali della sua fortunata ascesa sia in termini quantitativi nelle nostre acque e sia, di conseguenza, della sua cattura e successiva commercializzazione anche nel nostro Paese.
Ma la “fortunata” ascesa del granchio nuotatore è stata fortunata anche per l’ecosistema delle nostre acque? Questa è forse la domanda che più interessa i ricercatori e tutti gli addetti al settore, in primis i pescatori che vorrebbero essere rassicurati sul fatto che non venga compromessa la salute delle risorse di specie autoctone tipiche delle nostre acque e da sempre oggetto della pesca tradizionale. Ricordo che il granchio nuotatore in questione fa parte della numerosa famiglia dei Portunidi e che sono oltre una decina le specie differenti e di differente origine che vi appartengono e che vengono attualmente commercializzate in Italia. Ma la specie sicuramente più famosa di questa famiglia è il “Granchio da moleca” (Carcinus aestuarii), autoctono del nostro mare, molto pregiato quando commercializzato privo del suo carapace nel periodo di muta.
Sono stati fatti differenti studi scientifici utili a valutare l’impatto del cosiddetto “Granchio blu” sugli ecosistemi delle nostre acque. Certo si è scoperto che compete in particolare con differenti specie ittiche autoctone come il ghiozzo, il cefalo, il granchio da moleca e altri invertebrati con cui condivide l’habitat e sicuramente le sue caratteristiche specie specifiche lo avvantaggiano rispetto a molte delle specie avversarie. Non per niente è stato denominato anche dal MIPAAF “Granchio nuotatore” perché ha davvero grandi capacità di nuoto spostandosi anche per centinaia di chilometri. E’ molto aggressivo. Molto fecondo oltre ad avere un periodo riproduttivo molto lungo. E’ temuto anche dai produttori di molluschi bivalvi di cui è grande predatore e non disdegna il consumo anche di specie algali. Non mancano segnalazioni dei pescatori artigianali in merito al danno provocato da queste specie sia ai pesci pescati con reti da posta che alle reti stesse.
Nel frattempo che la ricerca produce studi sempre più precisi sull’impatto di questa specie sempre meno “aliena”, alloctona ma ormai quasi con la “cittadinanza” italiana, visto l’aumento della sua risorsa e soprattutto una maggiore sensibilità in merito alle politiche ambientali, antispreco e di economia di scala, anche considerando la crisi attualmente crescente anche nel settore della pesca a causa degli strascichi pandemici e dei rincari energetici, si è cominciato a fare quello che già aveva reso celebre il “Granchio nuotatore” in America ossia pescarlo e commercializzarlo sia intero che in polpa. Questo anche considerando la qualità delle sue carni riconosciute pregiati dagli USA ad altri Paesi europei e non.
Tra le prime, in Italia, a credere in questa strategia di valorizzazione della risorsa/gestione del problema e dunque sul trasformare una criticità in una opportunità un gruppo di cinque imprenditrici riminesi : le “Mariscadoras” e il loro progetto “Blueat – Alien is good Alien is food” con il quale hanno realizzato un primo modello di “filiera” del granchio nuotatore sia coinvolgendo i pescatori nella sua cattura che i trasformatori nella sua valorizzazione in polpa che i cuochi nell’inserimento di piatti con questa specie nel loro menu e anche curando una importante campagna di comunicazione a riguardo per sensibilizzare anche i consumatori e i media su questo tema.
Così oggi, grazie a loro e ad altre iniziative simili si sono moltiplicati i progetti di questo genere e il cosiddetto “Blue crab” partito dall’America famosissimo e arrivato in Europa in sordina direttamente dal mare sta, anche in Italia raggiungendo visibilità e prezzi sempre più alti e positivi per chi investirà su questa filiera e per l’ambiente. Meno per chi aveva cominciato ad apprezzarlo e comincia a non poterselo più permettere! Sicuramente la sua cattura non accidentale ma mirata, come specie bersaglio, potrà anche fornire ai nostri pescatori una nuova opportunità di aumentare il proprio indotto e, viste le sue caratteristiche di resistenza e fecondità, potrebbe davvero diventare una nuova risorsa per il nostro territorio se gestita correttamente grazie all’affiancamento di una costante ricerca e di un monitoraggio adeguato.
Di sicuro, parlando di priorità, il mondo della molluschicoltura ha fortemente bisogno che questo granchio venga ben monitorato e controllato per dimensione della sua risorsa se l’Italia vuole tenersi stretti i suoi primati nell’allevamento dei molluschi. Cominciano infatti a moltiplicarsi le segnalazioni di intere aree produttive di vongole veraci ad esempio devastate dall’insaziabile “granchio blu”. L’alleanza tra molluschicoltori, trasformatori e distributori potrà sicuramente accelerare un processo virtuoso utile a trasformare questo disastro in una opportunità nell’interesse comune, dell’ambiente, delle risorse e dell’economia del territorio.
Ho chiesto al Dott. Carlo Froglia, laureato in scienze biologiche e Senior Scientist in pensione del CNR- ISMAR di Ancona e autore di numerose pubblicazioni scientifiche sui crostacei di esprimere un suo parere in merito al tema del mio quesito sul “granchio blu”. Ecco di seguito il suo preziosissimo e autorevolissimo contributo.
“I “Granchi blu” (Callinectes sapidus), nativi dell’Atlantico occidentale, in pochi anni sono diventati, in Adriatico, da specie aliena la cui cattura era oggetto di segnalazione su riviste scientifiche o stampa quotidiana, a risorsa commerciale per la piccola pesca artigianale. Sebbene per ora siano più apprezzati dalla numerosa comunità di immigrati orientali, che dai consumatori italiani.
Sono più frequenti nelle aree lagunari e nella fascia costiera in prossimità delle foci dei fiumi, quindi è nell’Alto Adriatico che si registra la produzione più significativa (35 tonnellate commercializzate nel solo mercato di Goro nel 2021). Ma anche qui ad Ancona i pescatori con reti da posta catturano giornalmente qualche esemplare, incluse femmine adulte con uova. L’autunno è la stagione riproduttiva per questa specie ed una femmina può deporre oltre 3 milioni di uova.
I “mercati etnici orientali” sono approvvigionati anche da pesca illegale particolarmente nell’area del Delta del Po (vedasi sequestro al Lido di Volano: https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2022/09/22/gdf-sequestra-215-chili-di-granchi-blu-nel-ferrarese_f7400334-ac8b-4e5d-96e3-c330b671271d.html ).
In Mediterraneo è presente anche un’altra specie di “Granchio blu” il Portunus segnis (in passato riportata col nome di Portunus pelagicus), nativo del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano occidentale, insediato da un secolo, dopo l’apertura del Canale di Suez, nel Mediterraneo orientale e poi espanso verso occidente.
Nel Canale di Sicilia, soprattutto in Tunisia, è più diffuso il Portunus segnis; segnalato nel Golfo di Gabes per la prima volta 8 anni fa, si è rapidamente diffuso al punto da essere prima un problema per i pescatori artigianali, in quanto danneggiava le reti da posta ed il pescato (si mangiava i pesci ammagliati), e diventare oggi una significativa fonte di reddito. Attualmente il “Crabe bleu” (congelato o lavorato come polpa di granchio) rappresenta la prima voce nelle esportazioni ittiche della Tunisia, per un ammontare di oltre 7 milioni US $.
Negli ultimi mesi sugli organi di informazione della rete si fa una gran confusione, ma in passato [sic] è capitato anche agli uomini di scienza, tra le due specie di “Granchio blu” (vedasi ad esempio le immagini e le note pseudo-scientifiche sul “Granchio blu” che accompagnano la notizia della adesione del “Distretto della Pesca e Crescita Blu” siciliano al progetto Italo-Tunisino “Bleu-Adapt” (https://www.blogsicilia.it/palermo/granchio-blu-sicilia-mediterraneo/583784 o https://www.ragusanews.com/attualita-il-vorace-granchio-blu-invade-la-sicilia-e-caccia-alla-specie-aliena-video-122517 ).
Entrambe le specie (Callinectes sapidus e Portunus segnis) vivono nella fascia costiera e sono voraci predatori di bivalvi, crostacei e qualsiasi resto organico, perciò si pescano anche con nasse opportunamente innescate.
Quindi la loro proliferazione può avere effetti negativi sulle popolazioni delle specie bentoniche autoctone, incluse specie di notevole valore commerciale come Vongole e Mazzancolle. Ma non sono a conoscenza di studi specifici condotti nei nostri mari; purtroppo identificare a livello di specie nei contenuti stomacali le diverse prede, dopo che sono passate attraverso l’apparato masticatore e sono state ulteriormente triturate dal mulino gastrico dello stomaco, non è cosa semplice.
L’ antropocene, prodotto degli irresponsabili stili di vita del Homo sapiens moderno, ha portato e porterà inesorabilmente nel prossimo futuro a cambiamenti nella fauna dei nostri mari. La globalizzazione dei commerci ed il conseguente incremento dei trasporti marittimi trasferiscono continuamente larve ed adulti di specie diverse da un oceano all’altro, il riscaldamento globale ha già prodotto un incremento delle temperature del Mediterraneo.
Soprattutto in mare, è impossibile eradicare queste specie aliene dalle nuove aree dove hanno trovato condizioni ambientali favorevoli al loro sviluppo. Ma quando, come nel caso dei “Granchi blu”, si palesa un utilizzo commerciale, possiamo con una pesca mirata ottenere un vantaggio economico e contemporaneamente limitare lo sviluppo della popolazione di questa specie ed il suo possibile impatto sulle specie autoctone. L’iniziativa di “Mariscadoras” per la commercializzazione del Callinectes sapidus in Adriatico mi sembra andare in questa direzione”.
Ringrazio il Dott. Froglia per il suo preziosissimo contributo.
Seguite il Blog per avere aggiornamenti in merito e scriveteci per segnalazioni su emergenze da “granchio blu” ma anche su progetti utili alla sua valorizzazione.
Valentina Tepedino
Medico veterinario specializzata in prodotti ittici. Direttore del periodico Eurofishmarket, referente nazionale della SIMeVeP per il settore ittico e dell’Associazione Donne Medico Veterinario
Principali fonti bibliografiche di riferimento:
BOOK- Froglia, Carlo – 2017/11/16 – Cambiamenti recenti nella comunità dei crostacei decapodi dell’Adriatico
The trophic position of the Atlantic blue crab Callinectes sapidus Rathbun 1896 in the food web of Parila Lagoon (South Eastern Adriatic, Croatia): A first assessment using stable… Article in Mediterranean Marine Science · September 2016
La pesca artigianale in laguna di Venezia -Guida di buone pratiche e tutela della biodiversità (Progetto :“Valutazione e miglioramento del grado di sostenibilità ambientale della pesca artigianale nei siti Natura 2000 della laguna di Venezia –
02/AIRBC/2018” è un intervento finanziato dal PO FEAMP 2014-2020)- Piero Franzoi, Luca Scapin, Chiara Facca (Dipartimento di Scienze Ambientali,Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari di Venezia); Federico Riccato, Riccardo Fiorin, Giacomo Cipolato (Laguna Project snc).
Boll. Mus. civ. St. nat. Venezia, 49 (1998)1999, Luca Mizzan, LE SPECIE ALLOCTONE DEL MACROZOOBENTHOS DELLA LAGUNA DI VENEZIA: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
Segnalo per gli interessati anche l’articolo “Il granchio è blu?” del giornalista Andrea Grignaffini sulla “Gazzetta di Parma” del giorno 17/11/2022