Correva l’anno 2011 quando nell’occhiello dell’articolo dal titolo “Cernia o non cernia?” pubblicato sul periodico Eurofishmarket puntavo l’attenzione sulle “nuove” sostituzioni delle specie ittiche sui banchi delle pescherie. Già allora l’aggettivo nuove era tra virgolette a sottolineare che non era poi tanto nuova questa frode di sostituzione tra gli addetti ai lavori. Meno nota invece lo era tra i consumatori.
Dopo circa 12 anni da questo primo approfondimento vorrei riaccendere l’attenzione sulla frode di sostituzione di uno dei pesci ritenuti più pregiati dagli acquirenti di prodotti ittici poiché, una nuova indagine di mercato di Eurofishmarket appena iniziata ha già rilevato che diversi campioni di filetti in commercio con la denominazione di “filetto di cernia” sono risultati essere di un’altra specie ed in particolare della brotula.
Anche nel 2011 le analisi di alcuni filetti commercializzati sui banchi come cernia erano risultati essere, dopo esame con focalizzazione isoelettrica (IEF) di brotula, specie il cui filetto è apparentemente molto simile a quello di alcune cernie.
La brotula è una specie che non vive nel nostro Mar Mediterraneo e prevalentemente ci arriva dall’Atlantico orientale ed in particolare dall’Africa. Questa specie (Brotula barbata) ha la denominazione obbligatoria in lingua italiana di Brotula ed è una specie che arriva sui nostri mercati da oltre vent’anni. Eppure passa alquanto inosservata e sicuramente non è conosciuta dalla stragrande maggioranza dei consumatori e dei cuochi.
Ha carni considerate buone ma un valore commerciale comunque basso se commercializzato come Brotula poiché appunto non richiesta sul nostro mercato. Da qui la frode di sostituzione al posto di specie pregiate della famiglia Serranidi alla quale appartengono le numerose cernie ben pagate dal nostro mercato.
Intanto va subito premesso che sotto la denominazione generica di cernia spesso vengono impropriamente inserite tante specie differenti appartenenti alla famiglia Serranidae, che comprende oltre trecento specie, diffuse e pescate nei mari di tutto il mondo. Di queste numerose specie di “cernia”, più di trenta sono presenti nell’elenco delle specie ittiche di interesse commerciale approvato dal MIPAAF secondo il D.M. 27 marzo 2002 e successivi aggiornamenti e questo significa che le stesse vengono commercializzate sui nostri banchi con una certa frequenza. Da qui va anche fatta la precisazione che non tutte le specie della famiglia hanno lo stesso pregio e che non tutte sono di origine italiana.
Per sapere quale specie di cernia in filetto si sta davvero acquistando bisognerebbe farlo su un banco che espone in etichetta sia la denominazione in lingua italiana che latina. Difatti le cernie se intere hanno dei tratti distintivi abbastanza caratteristici per distinguerle une dalle altre mentre se sono in filetti il riconoscimento diventa difficile se non impossibile.
Purtroppo, se si tratta di una frode, oltre a non riuscire a fare l’identificazione dall’aspetto del prodotto, non è possibile farlo neppure dall’etichetta. Difatti sia che si tratti di un filetto di una “cernia” meno pregiata che di una Brotula, nell’etichetta dei prodotti “falsi” sarà indicata sempre la denominazione della cernia più pregiata o più conosciuta.
Altra considerazione è quella che nel periodo estivo la brotula in Africa si pesca meno e che dunque, ci sia la possibilità, che i filetti di questa specie commercializzati per cernia siano anche stati decongelati e venduti come freschi. Ricordo inoltre che il problema delle frodi commerciali è che al di là di essere frodi e dunque illegali non nascondono solo un problema di rischio per il portafogli delle vittime ma anche che sono sicuramente più a rischio per la sicurezza igienico sanitaria poiché in qualche modo è stata alterata la tracciabilità utile ad avere tutto il percorso sotto controllo da parte del veterinario aziendale come di quello del controllo pubblico.
Nella mancanza di una metodica ufficiale utile ad effettuare una verifica ufficiale da parte degli organi di controllo pubblico preposti allo scopo e nella speranza che presto anche questa carenza venga colmata suggerisco da parte delle catene della grande distribuzione organizzata o del circuito HORECA e del commercio in generale una verifica in tal senso attraverso l’analisi del DNA utile al riconoscimento delle specie ittiche. Pur non essendo quest’ultima ancora una metodica ufficiale, è utile a controllare il proprio fornitore, è affidabile ( soprattutto nei laboratori che si sono specializzati sulla stessa), rapida ed economica e consente di tutelare i propri clienti e il mercato. Ormai da anni ad esempio l’IZS delle Venezie, anche a seguito di un importante progetto sostenuto dal MASAF, realizza di routine questi tracciati per le aziende che desiderano effettuare questo tipo di verifiche.
Il prezzo del filetto di brotula in questo momento all’ingrosso è di circa 12 euro/kg rispetto quella di cernia che, a seconda della specie potrebbe superare anche i 30 euro/kg e nei banchi dove la abbiamo rintracciata commercializzata come “cernia” (nello specifico le indagini di Eurofishmarket si sono concentrate sui filetti commercializzati come “cernia dorata” ossia Epinephelus costae) veniva venduta al cliente ad un prezzo tra i 20 e gli oltre 32 euro al kg. Dunque il ricarico riscontrato in alcuni punti vendita che commettevano la frode di sostituzione era davvero importante. Questo provoca, oltre a tutto quanto suddetto, anche una forte concorrenza sleale tra produttori e distributori della specie in questione.
Vi invito a rileggere l’articolo “Cernia o non cernia” del numero 16 di Eurofishmarket
Valentina Tepedino, Medico Veterinario specializzata in prodotti ittici. Direttore del periodico Eurofishmarket, referente nazionale della SIMeVeP per il settore ittico e dell’Associazione Donne Medico Veterinario