Negli ultimi anni anche il settore ittico ha fatto numerosi passi avanti in termini di tracciabilità, etichettatura, controlli, tecnologie di produzione, sicurezza igienico sanitaria, ecc. e questo riflette da una parte una maggiore attenzione da parte delle Autorità istituzionali deputate allo scopo e dei referenti qualità della filiera e dall’altra all’aumentata sensibilità e curiosità che ha il consumatore di conoscere meglio ciò che consuma e come è stato prodotto. Nonostante però l’importante crescita di questo settore i cui consumi in Italia hanno superato i 26 Kg/procapite anno, non si è altrettanto sviluppato e chiarito il significato di “qualità” che viene spesso e ripetutamente “abusato” per promuovere questo o quel prodotto o produttore senza che in realtà ci sia un contenuto spendibile. Mi spiego meglio.
La qualità intesa come “qualità igienico sanitaria” di un prodotto è qualcosa di chiaro e misurabile ed è anche controllata sia da controllori pubblici che privati che devono verificare appunto che quello specifico prodotto o produttore rispetti la normativa vigente per tutti i requisiti relativi alla sicurezza alimentare. Mentre infatti la sicurezza igienico sanitaria, la tracciabilità e altri parametri sono spiegabili, misurabili e controllabili oggi poiché dettati da precise normative, per quanto riguarda la qualità in generale, invece, non è chiaro spesso a cosa si ci riferisca e dunque non è né spiegabile e né controllabile. Eppure le poche pubblicità che ci sono in televisione o sui media in generale sui prodotti ittici puntano spesso a promuoverli come “di qualità” non raccontando in sostanza per quale esatta caratteristica quella specifica referenza sia migliore di quella di un’altra marca. Forse io essendo nata come tecnica, in quanto medico veterinario, sono abituata a pretendere delle più precise motivazioni per effettuare un acquisto consapevole ma mi rendo conto che sarebbe più corretto che anche su questo punto, ossia quello degli aspetti legati alla qualità sensoriale, nutrizionale, di produzione, di sostenibilità, ecc. fosse comunque una autorità competente a fornire delle linee guida utili a dare un valore il più possibile reale, affidabile e controllabile di un prodotto. Dunque per tutti gli aspetti di qualità non governati da una normativa c’è a mio parere oggi molta confusione che oltre a disorientare e a volte imbrogliare il consumatore crea anche una forte concorrenza sleale e dunque turba il mercato a svantaggio, spesso, di produttori più rigorosi.
Basti pensare all’acquacoltura per cui ogni catena di distribuzione si è creata un proprio “capitolato di qualità”, fatto in modo volontario e coinvolgendo i propri esperti di riferimento. Quest’ultimo resta pur sempre un capitolato auto referenziato e autocontrollato per quanto riguarda gli aspetti volontari…questo non significa che è inutile o che è falso ma solo che non aiuta il consumatore a potere essere sicuro che quel branzino, orata o trota che acquista sia davvero migliore rispetto alla concorrenza ad esempio per il rapporto omega 3/omega 6, l’indice di conversione, la densità di allevamento, ecc.. Dunque il consumatore anche se si collegherà ad un QR Code, al sito o chiamerà il numero verde collegato a quel prodotto a marchio non potrà mai essere sicuro di avere pagato e acquistato ad es. al giusto prezzo il “giusto” prodotto. Ogni “marca” vanterà una “qualità” maggiore rispetto all’altra ma il consumatore non sarà in grado di verificarla. Ritengo che quest’ultima attività non rientri neppure tra i suoi compiti poiché in futuro sarebbe corretto che, ripeto, il consumatore si affidasse a dei specifici gradi di qualità indicati e controllati da enti ufficiali preposti allo scopo e privi dunque di conflitti di interesse. Questa premessa a mio parere è d’obbligo per potere in futuro dare un significato più forte e trasparente alla parola “qualità” con tutti i suoi reali contenuti paragonabili, misurabili e controllabili nell’interesse del mercato e del consumatore.
Dunque per rispondere alla domanda iniziale e come meglio spiegato nella mia premessa direi “No. La qualità dei prodotti nel settore ittico non è una discriminante reale attualmente anche se uno dei miei sogni e dei miei obbiettivi professionali è che lo diventi”. In questo momento infatti, a mio parere, la qualità intesa in senso generale, non rappresenta una discriminante per la scelta di un prodotto ittico al posto di un altro se non nei casi dove viene davvero specificato ed è facilmente dimostrabile il suo reale valore aggiunto. E l’esempio forse più eclatante su quanto ho dichiarato è nella ormai affermazione a tutti i livelli del commercio e della somministrazione di tonno a pinne gialle, sempre meno pregiato e sempre più trattato per rimanere di colore rosso vivo il più a lungo possibile.
Ci tengo a precisare, soprattutto per chi non mi conosce, che con quanto suddetto sto intendendo che, dalla mia esperienza in questo settore, c’è una attenzione più virtuale che reale a quella che potrebbe essere la reale qualità di un prodotto ittico da parte di tutti gli attori della filiera. Per rendere più chiaro a chi mi sta leggendo cosa intendo porto l’esempio dei molluschi reimmersi in bacinelle che vengono considerati spesso più “genuini” rispetto a quelli esposti ordinatamente in retina sul banco ventilato. O l’esempio di chi si ritiene un gourmet e decanta il tonno a pinne gialle decongelato e additivato come se fosse una prelibatezza o il distributore che vende seppie e filetti “ossigenati” ed esposti come un vanto sul suo banco o quello dei piatti pronti poco innovativi sia per la ricetta che per le materie prime utilizzate…La qualità di un prodotto ittico non può essere soggettiva e soggetta alla preparazione degli interessati o alla loro serietà o al costo del prodotto. La qualità oggettiva dovrebbe definire un aspetto ben preciso, concreto e leale che mi determina la scelta di quel prodotto. Se una persona preferisce acquistare una seppia pulita bianca che più bianca non si può, per questa persona il valore aggiunto potrebbe anche essere, paradossalmente, che la seppia trattata con acqua ossigenata è di maggiore qualità rispetto a quella naturale. Chi può dunque definire il livello e il significato di qualità ?
Secondo me c’è una qualità che si può definire oggettiva ossia che risponde al fatto che il prodotto ha una o una serie di caratteristiche che lo rendono migliore del convenzionale per aspetti considerati da tutti o da una specifica norma positivi e idonei. Poi c’è una qualità soggettiva che è quella che a mio parere oggi va per la maggiore che premia prodotti e produzioni che hanno alle spalle una buona agenzia pubblicitaria o che sono omologati a ciò che viene più richiesto, o che viene preferito perché, anche se artificialmente ha un migliore aspetto, perché piace di più, ecc.
Secondo me è giusto che ciascuno di noi possa scegliere liberamente ciò che desidera davvero acquistare ma è anche giusto che riesca, e non solo pensi, a farlo più consapevolmente.
Questo è anche il motivo per il quale da anni, sia in prima persona che attraverso il progetto L’Amo di Eurofishmarket e altri progetti, ricerco e promuovo tutti i modelli di produzione e i prodotti che hanno un reale valore aggiunto da raccontare. Chi punta sul realizzare un prodotto “particolare” anche solo per uno specifico requisito è in linea di massima vincente alla lunga e solido. E sul mio blog troverete molti esempi di questo tipo di prodotti o produttori: dal polpo lavorato in acqua di mare, al fasolaro sgusciato e cotto a basse temperature al branzino allevato nel pieno delle correnti ai cuoricini impanati di moli e gallinelle italiani.
I prodotti suddetti non hanno la pretesa di imporsi sul mercato come di maggiore qualità rispetto ai convenzionali ma semplicemente comunicano meglio e comprovano quello che pubblicizzano come il loro valore aggiunto. Al contrario invece di quanto oggi chi distribuisce ad esempio la seppia “ossigenata” fa!
Sicuramente solo una maggiore formazione e informazione al consumatore in merito ai diversi aspetti di suo interesse e la creazione di una regolamentazione e un controllo puntuale anche per gli aspetti qualitativi potrà davvero premiare non solo le aziende che si impegneranno nella produzione o distribuzione di un prodotto con un valore aggiunto ma anche i consumatori interessati a fare un acquisto più consapevole per questo o quell’aspetto.
Questo mio sfogo sulla qualità virtuale, reale o presunta che sia è mirato dunque a sensibilizzare soprattutto il settore della distribuzione organizzata e dell’HORECA a migliorare la selezione dei prodotti ittici, la loro presentazione e comunicazione. Mi rivolgo a loro perché so che hanno le potenzialità per riuscire ad accelerare questo progetto di crescita verso una migliore definizione della “qualità” anche nel settore ittico. Ma è anche mia convinzione che potranno raggiungere questo obbiettivo solo se unite e determinate a collaborare. Questo anche in attesa di regole più chiare su questi aspetti da parte delle istituzioni competenti.
Valentina Tepedino, Medico Veterinario, referente nazione della Società di Medicina Veterinaria Preventiva. Direttrice di Eurofishmarket e autrice del Blog “Informare per non abboccare”