“Il pesce allevato è ricco di antibiotici, di ormoni, di microplastiche…”. Vero o falso? Al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino ho avuto l’opportunità di chiederlo ad alcuni tra i più autorevoli professionisti del settore tra accademici e tecnici specializzati con un curriculum ad hoc rispetto alle tematiche di interesse. Ecco il primo punto: riportare all’attenzione l’importanza di fonti referenziate e scientificamente valide per dare una informazione corretta su quella che rappresenta già la principale fonte di approvvigionamento del pesce ma che risente di falsi o errati pregiudizi : l’acquacoltura.
Era l’agosto 2003 quando il “The Economist” uscì con una copertina completamente occupata da salmoni allineati in una sterminata e marziale platea, dal titolo “Blue Revolution”. L’articolo interno intendeva la promessa dell’acquacoltura nel contesto di un importante cambiamento delle abitudini alimentari tra la popolazione mondiale che da alcuni decenni si rivolge sempre di più al consumo di pesce, consapevole dei benefici che ne derivano alla salute. Lo sfruttamento eccessivo degli oceani operato nel corso dell’ultimo secolo, ha fatto si che i banchi di pesce si siano enormemente ridotti: dove all’inizio del ‘900 si stimavano punte di oltre 11 kg per chilometro quadrato di mare, ne stimiamo ora meno di 3 kg, ma soltanto nelle aree più pescose dell’oceano. E’ evidente che solo il continuo sviluppo dell’acquacoltura potrà consentire di far fronte ai nuovi fabbisogni, ma è pur necessario trovare un’adeguata, completa e sana fonte alimentare per i pesci allevati, la quale non potrà ovviamente essere coperta con le risorse della pesca. Dal momento che (dati FAO 2018) la produzione mondiale della pesca è ormai da tre decenni ferma su un quantitativo di 85-95 milioni di tonnellate (Mton), delle quali solo 71,2 destinate al consumo umano assieme ad 80 Mton prodotte con l’acquacoltura, è evidentemente quest’ultima, con una crescita che per il momento è del 7,5% per anno, a poter sopperire ad un’ulteriore domanda di almeno 45 Mton di prodotti ittici, da parte della popolazione prevista per i prossimi 30 anni. L’importante fase di espansione ed evoluzione tecnologica fa quindi dell’acquacoltura il soggetto di quest’ultima rivoluzione agroalimentare. Ciò è reso possibile dagli incalzanti risultati provenienti da studi scientifici che consentono di trasformare la strategia nutrizionale dei pesci in allevamento, implementando la sostenibilità del processo produttivo e migliorando la qualità dei prodotti.
Il pesce allevato tra sostenibilità e qualità.
Il Prof. Marco Saroglia, Ordinario di Scienze e Tecnologie Zootecniche- Acquacoltura, Università degli Studi dell’Insubria precisa che “tra i principali obiettivi che il settore sta affrontando ci sono la sostenibilità della risorsa da utilizzare per l’alimentazione degli allevamenti, la qualità del prodotto finale e la sicurezza alimentare. Il sostegno alla ricerca da parte dell’Unione Europea con HORIZON 2020, quindi da fondazioni di origine bancaria quali AGER II, sono gli strumenti finanziari che al momento consentono di perseguire tali obiettivi. Dagli stessi progetti di ricerca derivano poi informazioni utili in ambito di sostenibilità, a partire dai nuovi equilibri economici dell’allevamento e dalle strategie per minimizzare l’impatto sull’ambiente. La qualità del pesce allevato che giunge sulla tavola, non solo non ha più nulla da invidiare al prodotto pescato ma è più costante ed igienicamente controllabile che non in quest’ultimo. Sul prodotto italiano allevato si lavora per garantire, oltre a sane e nutrienti proteine, non solamente una elevata quantità di acidi grassi polinsaturi a lunga catena del tipo omega-3 che sono un toccasana per le coronarie, ma anche di minerali e di parvalbumina, una proteina che una recente ricerca dell’Università svedese di Goteborg avrebbe dimostrato essere in grado di proteggere il cervello da alcune patologie degenerative come l’Alzheimer. L’assenza di sostanze tossiche inquinanti e di antibiotici nel prodotto dell’acquacoltura in commercio è garantita da fittissimi monitoraggi eseguiti da molte e differenti organi nazionali di controllo, inoltre aziende italiane si sono già sottoposte alla verifica internazionale che certifica l’assenza di antibiotici lungo tutto il ciclo dell’allevamento”.
Antibiotici e antibiotico resistenza: i prodotti allevati rappresentano un rischio?
Quanto suddetto è confermato dal Dott. Antonio Sorice, Medico Veterinario e Presidente della Società di Medicina Veterinaria Preventiva: “…L’antibiotico resistenza è un fenomeno che esiste da sempre: i germi si riproducono velocemente tra una generazione e l’altra e si trasmettono la resistenza. Il problema è serio. Ma i controlli, fra i quali quelli dei Servizi Veterinari delle Asl, ci sono e in Italia il rischio di assumere antibiotici attraverso il cibo è sotto l’1%. I sequestri che vengono raccontati sui giornali sono l’evidenza che i controlli sono davvero molto serrati ed il sistema è particolarmente monitorato. I problemi esistono, ma per comprenderli bisogna consultare le persone veramente competenti“. A tale proposito il Dott. Sorice cita l’esempio virtuoso della Norvegia, che secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea dei Medicinali a tal proposito, risulta essere un esempio di lotta efficace all’AMR nella produzione alimentare. Anche il Dott. Erik-Jan Lock, Research Group Leader, Dept. Feed and Nutrition, Norwegian Institute of Marine Research, mi indica gli ultimi dati relativi ai controlli in merito al salmone di allevamento che dimostrano ormai il non utilizzo di antibiotici per tale produzione e come la Norvegia sia al primo posto su tale obbiettivo. Per quanto riguarda i dati su antibiotici, PCB, Diossine e quanto altro di interesse sui prodotti ittici norvegesi ha fornito il sito del Norwegian Institute of Marine Research per il quale lavora e nel qualeè possibile trovare tutti i risultati e le statistiche aggiornate ( https://sjomatdata.hi.no/ ).
Eppure la fake news sul salmone con gli antibiotici resta una classico dei falsi miti di media e consumatori e a questo proposito il Dott. Umberto Luzzana, Marketing Manager Skretting Italia, una delle aziende leader nella mangimistica e grande esperto di alimentazione animale che rappresenta l’OSA ribadisce che “La somministrazione di farmaci non è libera ma subordinata al rispetto di precise regole e non può avvenire a scopo preventivo. Essa inoltre sta lasciando il posto all’uso di alimenti funzionali e vaccinazioni che riducono la necessità di ricorrere agli antibiotici. Per quanto riguarda l’uso di ormoni o antibiotici allo scopo di accelerare e incrementare la crescita del pesce (trattamento auxinico), oltre a essere proibito esso risulta anche non efficace in acquacoltura, a differenza di quanto avviene nei mammiferi, pertanto non ha alcun motivo di sussistere”.
Prodotti ittici di acquacoltura e microplastiche
In merito alle microplastiche nel pesce allevato invece il Prof. Saroglia precisa che “…Con il progetto AGER II – 4F, coordinato dall’Università dell’Insubria in Varese, si stanno tra l’altro studiando formulazioni mangimistiche per evitare le micro e nanoplastiche...Sebbene i dati relativi alla presenza delle microplastiche nell’ambiente si stiano ormai ampiamente accumulando tra la letteratura scientifica, i livelli reali di esposizione ed i loro potenziali effetti sull’organismo umano non sono noti. Ancor meno si sa circa le forme più minute, le nanoplastiche di dimensione inferiore a 0,1 micron, per le quali scarseggiano i dati relativi alla presenza nell’ambiente e quasi nulla si sa circa gli effetti sugli organismi animali, come sottolineato dall’Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA)… La possibilità di controllare le diete dell’acquacoltura e la natura delle materie prime utilizzate per produrre i mangimi, ai fini di contenere la presenza di micro e nanoplastiche nei prodotti ittici allevati destinati alla nostra tavola, è pertanto un obiettivo prioritario, assieme alla ricerca di un compromesso ragionevole per una soglia di tollerabilità. La destinazione di fondi pubblici non solo al monitoraggio ambientale ma specialmente a questo tipo di studi, potrebbe offrire un importante vantaggio al nostro Paese nel settore agroalimentare dell’acquacoltura, oltre a poter forse consentire di sviluppare metodi innovativi per la depurazione.”
Il Dott. Andrea Fabris, medico veterinario e Direttore dell’Associazione Piscicoltori Italiani che rappresenta circa l’85% degli allevatori di pesci a livello nazionale sottolinea che le “fake news” fanno male all’acquacoltura italiana perché creano disinformazione. La sicurezza dei prodotti ittici allevati in Italia è assicurata da tutto quanto già detto ma sarebbe utile fare sapere meglio ai consumatori quali prodotti ittici sono allevati in Italia e la loro produzione e qualità specie specifica.
Il problema delle fake news in acquacoltura deriva anche da una scarsa conoscenza della stessa da parte di quelli che oggi sono a tutti gli effetti i nuovi “influencer” per una buona parte di consumatori : gli chef . Molti cuochi non si esprimono favorevolmente in merito alla stessa considerando i prodotti ittici allevati, in linea generale, di seconda scelta rispetto al pescato. Per questo sarà importante formarli in merito a tutte le innovazioni di questo settore collaborando dunque per rassicurarli sulla sicurezza e qualità dei prodotti ittici allevati. Solo collaborando tra professionisti ( produttori,distributori,tecnici specializzati, giornalisti e cuochi) sarà possibile arrivare ad una corretta accettabilità sociale dell’acquacoltura utile anche a un suo sviluppo sempre più sostenibile e a una qualità sempre maggiore della stessa.
Valentina Tepedino
Medico Veterinario, Specializzato in Igiene, allevamento e Ispezione dei prodotti ittici, Direttore del periodico Eurofishmarket