Cosa si intende per prodotto ittico italiano? La domanda non è proprio scontata come neppure la risposta considerando che la maggioranza dei distributori, ristoratori e consumatori oggi si dice interessata a questo tema ma non è consapevole di come identificare correttamente e acquistare dunque un prodotto ittico italiano.
In realtà il punto sarebbe comprendere anche se per prodotto ittico italiano, intendiamo, per quelli derivanti da attività di pesca, che sia stato pescato da un peschereccio italiano, a prescindere dall’area geografica (GSA di pesca) e sbarcato in Italia.
Così come se si tratta invece di un prodotto di acquacoltura intendiamo che sia stato realizzato interamente in Italia a partire dagli avannotti ad esempio…
Partendo da questa premessa il primo nodo da sciogliere è la confusione spesso fatta a più livelli della filiera, consumatori compresi, su origine, provenienza e anche sul corretto significato di “Made in Italy” per il prodotto ittico.
Partiamo dall’origine. L’origine è l’indicazione del luogo in cui il prodotto ittico è stato pescato o allevato.
In effetti la maggioranza dei consumatori, quando parla di prodotto ittico italiano, lo immagina pescato o allevato in Italia ma poi sul mercato fa fatica ad identificarlo in modo chiaro ed inequivocabile poiché la normativa in vigore, pur dando indicazione dell’origine, non rende possibile al cento per cento la possibilità di identificare il prodotto come “italiano”.
La normativa europea, difatti, per tutte le “zone FAO” che rappresentano mari ed oceani che non bagnano il Mediterraneo obbliga l’indicazione della denominazione della zona FAO espressa in termini comprensibili per il consumatore ma, invece, proprio al fine di tutelare maggiormente i prodotti ittici pescati in acque europee e dunque renderli più riconoscibili al consumatore europeo, obbliga, nello specifico per i prodotti catturati in Atlantico nord-orientale (FAO 27), in Mediterraneo e in Mar Nero (FAO 37), ad indicare anche:
- la denominazione scritta della sottozona o divisione FAO;
- ulteriore definizione dell’area in questione in termini comprensibili per il consumatore oppure una carta o un pittogramma che indichi tale zona di pesca.
Dunque solo in relazione alla zona di cattura 27 e 37 la norma specifica che, nel caso di prodotti catturati in mare, l’etichetta debba riportare il nome della divisione o sottozona elencate nelle zone di pesca della FAO, come pure il nome di questa zona “espresso in termini comprensibili al consumatore, oppure una carta o un pittogramma indicante detta zona …”.
Dunque la zona FAO 37 è vero che identifica il Mar Mediterraneo ma è anche vero che sono numerosi i Paesi bagnati dallo stesso oltre che dal Mar Nero. Ragion per cui la zona FAO 37 sicuramente rappresenta anche il nostro mare ma non per forza l’origine italiana. Altro suggerimento per chi cerca prodotti ittici di origine italiana è di non acquistare da banchi pescheria che indicano in etichetta solo la zona FAO ( 37,27, ecc.) poiché, a mio parere, un distributore che vuole essere “trasparente” e diretto con il proprio cliente soprattutto su una specifica origine la indica in modo chiaro in etichetta senza rimandare a cartine e numeri spesso incomprensibili ai più.
Inoltre, il fatto ad esempio che sull’etichetta di una sogliola o di un nasello in pescheria sia riportata l’indicazione “Mar Mediterraneo Centrale- Mare Adriatico” non è per forza indicativa di un prodotto nazionale poiché ad esempio anche il prodotto pescato in Croazia potrebbe avere la stessa origine in termini di sottozona o divisione.
Per tutti i suddetti motivi chi ricerca un pescato italiano da barche italiane nel nostro mare dovrebbe acquistare solo su banchi che dichiarano in modo esplicito in etichetta l’origine italiana indicando il prodotto come “nazionale”, “italiano”, “toscano”, “siciliano”, ecc. Difatti, questo tipo di indicazioni sono volontarie ma sono consentite se chiaramente veritiere e chi le espone è chiamato, in caso di controllo, a fornire tutta la documentazione che attesti la veridicità delle stesse. Per questo motivo è preferibile selezionare banchi del pesce in cui queste informazioni sono riportate scritte chiare in etichetta e non fidarsi di chi invece le promuove solo a voce o dietro richiesta dello stesso cliente.
Dunque andrebbe richiesto ai distributori e ai ristoratori uno sforzo in più utile a meglio comunicare il prodotto ittico italiano al fine che ci sia meno concorrenza sleale a tutti i livelli e che venga meglio valorizzato dove e come possibile.
Uno sforzo in più va chiesto anche al mercato della produzione dove spesso sono proprio i pescatori a non trasferire nel modo corretto tutte le informazioni necessarie ad una tracciabilità utile ad etichettarlo al dettaglio come “nazionale”. La normativa a supporto di una tracciabilità puntuale a tutti i livelli della filiera ittica c’è già e da molti anni (art.58 del Reg. CE 1224/2009) ma non sempre viene non solo rispettata ma soprattutto non ne è compresa l’importanza strategica proprio per dare ulteriore valore al prodotto nazionale. Faccio l’esempio in merito al fatto che già secondo la normativa vigente tutta la filiera è al corrente addirittura del numero di matricola della imbarcazione e della data di pesca del prodotto ma queste preziose informazioni non vengono spesso prese in considerazione dai vari protagonisti della filiera rimanendo in sordina.
Sarebbe importante ribadire ai pescatori ma anche ai distributori e a i ristoratori l’importanza dell’art. 58 che non è solo obbligatorio ma è strategico per promuovere meglio il prodotto ittico italiano ma anche per migliorare la marginalità sullo stesso e per valorizzarlo.
Per i prodotti della pesca catturati in acque dolci, invece, le etichette devono menzionare il corpo idrico dello Stato membro o del paese terzo in cui è stato catturato il pesce mentre per i prodotti dell’acquacoltura deve essere indicato lo Stato membro o il paese terzo in cui il prodotto ha raggiunto più della metà del suo peso finale, o ha soggiornato per più della metà del periodo di allevamento o, nel caso dei molluschi, ha subito la parte finale dell’allevamento o la coltura per almeno sei mesi.
Dunque sarebbe sicuramente opportuno riuscire anche per gli allevatori che si impegnano a garantire il più possibile una filiera tutta italiana, tutelarli riuscendo a farli emergere con maggiore facilità una volta in commercio magari fornendo loro una classificazione ministeriale ben precisa ed effettuando controlli anche per gli aspetti oggi volontari come ad es. l’origine degli avannotti, l’origine del mangime, ecc.
La provenienza. La provenienza, spesso confusa dal consumatore con l’origine, indica, invece, l’ultimo stabilimento nel quale il prodotto è stato manipolato e/o stoccato. Ad esempio un pesce pescato in oceano Pacifico viene poi importato dalla Spagna e poi inviato in Italia e dunque la sua provenienza è spagnola ma l’origine è dell’Oceano Pacifico dove è stato pescato. Nelle etichette del prodotto fresco e anche congelato deve essere riportata l’origine e non la provenienza.
Il “Made in Italy”, infine, è una dicitura che può essere utilizzata quando in Italia è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. L’indicazione fraudolenta “Made in Italy” può aversi solo nel caso in cui l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale sia avvenuta in un Paese diverso e non se questi processi siano avvenuti in Italia seppur su prodotto importato. Quindi riguardo al “Made in Italy” sicuramente sarà utile ottenere dal Governo competente una migliore definizione di “trasformazione o lavorazione sostanziale” onde evitare in futuro di trovare “un abuso” di questa definizione da parte del mercato e soprattutto una concorrenza sleale.
Nell’attesa dunque di ulteriori chiarimenti ribadisco che oggi l’informazione più accessibile a chi vuole vendere, somministrare e acquistare prodotto ittico italiano è l’attestazione di origine, ovvero la dicitura “prodotto italiano”, o altra indicazione relativa all’origine italiana o alla zona di cattura più precisa di quella obbligatoriamente prevista dalle disposizioni vigenti, che può essere apposta da chi sia in grado di dimostrare l’esattezza delle informazioni relative all’origine del prodotto con gli strumenti previsti dal Reg. CE 1224/09, come la blue box oppure l’indicazione della suddivisione della GSA nel riquadro statistico del giornale di pesca cartaceo.
Dunque premiamo banchi e ristoranti che comunicano in modo più trasparente e chiaro l’origine del prodotto e che si impegnano a meglio identificare il prodotto ittico nazionale anche inserendo informazioni volontarie come “di origine italiana” che sono davvero utili a garantire meglio gli acquisti di chi desidera comprare prodotto nostrano.
Premiando banchi e ristoranti che utilizzano questa semplice formula scritta sull’etichetta o sul menu anche noi consumatori potremo contribuire a contrastare la concorrenza sleale non comprando da chi non si assume una responsabilità concreta di garantirci rispetto a questa informazione. Difatti sia il distributore che il ristoratore oggi hanno, come suddetto, gli strumenti per indicare in modo più trasparente l’origine.
Il consumatore così come il distributore e il ristoratore sono liberi di acquistare prodotto ittico da tutto il mondo in base alle loro esigenze, il loro stile di vita e il loro portafoglio ma, quando decidono di optare o sostenere la produzione ittica italiana è importante che questo sia possibile senza troppe difficoltà perché diversamente penalizziamo il nostro prodotto invece che valorizzarlo.
Questo anche a vantaggio e tutela della cosiddetta “sovranità alimentare”, fortunatamente fortemente sostenuta da questo nuovo Governo e a sostegno delle produzioni ittiche nazionali che ne hanno enormemente bisogno. Anche per questo sarà importante dare maggiori strumenti possibili per acquisti ittici sempre più consapevoli in modo che chi vorrà optare per un prodotto ittico italiano potrà farlo senza il rischio di prendere una fregatura.
Ricordiamoci che siamo noi consumatori a fare il mercato e dunque a creare la domanda e che in questo momento, soprattutto nel settore ittico, la stiamo invece subendo acquistando senza troppe domande quello che ci viene proposto e spesso trascurando l’importanza dell’etichetta sui nostri prodotti ittici.
Per questo, sintetizzando, ribadisco l’invito a chef e pescivendoli che ancora non lo fanno, di comunicare in etichetta in modo più chiaro l’origine del prodotto e se è “nazionale” e invito inoltre il consumatore a preferire chi lo fa (ossia scrive che il prodotto è nazionale) e non chi lo dice e basta…perché come recita un antico proverbio “verba volant, scripta manent” (Le parole volano, gli scritti rimangono).
Valentina Tepedino
Medico veterinario specializzata in prodotti ittici. Direttore del periodico Eurofishmarket, referente nazionale della SIMeVeP per il settore ittico e dell’Associazione Donne Medico Veterinario